di ASSEMBLEA PERMANENTE CONTRO LA GUERRA

Dichiarazione del 28/10/2023

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Dopo il 7 ottobre siamo stati spinti ancora una volta a schierarci, a decidere se appoggiare il sistema di sfruttamento e violenza del governo israeliano, che dura da tempo, o il massacro condotto da Hamas in nome della liberazione nazionale. I media e tutte le istituzioni che sostengono le politiche israeliane dicono che o accettiamo l’uccisione di massa dei palestinesi, oppure vogliamo distruggere Israele e il popolo ebraico. La politica di guerra è radicata in standard differenziali che rendono pressoché inutili parole come invasione, diritto di difesa e intervento umanitario. Un’occupazione è cattiva e un’altra è buona. La politica di guerra trova sempre la sua giustificazione, per questo noi dobbiamo lottare e imporre la nostra politica transnazionale di pace.

Vogliamo la fine dei bombardamenti a Gaza. Sosteniamo e partecipiamo a manifestazioni e azioni contro l’occupazione e l’apartheid in Palestina, per un cessate il fuoco immediato e contro la macchina militare. Il massacro deve finire. Ma sappiamo che questo appello non è sufficiente a interrompere la logica di guerra, e la pace che vogliamo non è il periodo che intercorre tra una guerra e l’altra.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, e ora con la guerra che infuria in Palestina, abbiamo visto che i governi si schierano da una parte o dall’altra mossi da interessi geopolitici ed economici, indifferenti e ciechi alla vita di uomini, donne, bambini e persone LGBTQIA+. Vediamo che coloro che sostengono la guerra sono gli stessi che attaccano i migranti e le migranti e vogliono rafforzare il regime dei confini e la violenza. Vediamo che coloro che minacciano l’escalation sono gli stessi che vogliono che le donne rimangano in una posizione subalterna. Vediamo che coloro che sostengono la guerra sono gli stessi che ci chiedono di lavorare di più per gli scopi della guerra. Essere coraggiosi in questa situazione significa rifiutare le dicotomie utilizzate dalla logica di guerra. Significa anche riconoscere che nell’attuale guerra a Gaza le due parti non sono uguali, né omogenee: le palestinesi e i palestinesi sono sfollati, divisi e occupati. Le cittadine e i cittadini arabi di Israele, musulmani o cristiani, i palestinesi e le palestinesi della Cisgiordania sono costretti a tenere a bada il dissenso o a rischiare di essere licenziati, aggrediti o uccisi. Anche Israele è più diviso di quanto sembri: cittadini e cittadine ebrei in Israele rifiutano il servizio militare e condannano la guerra, mentre altri scendono in piazza per protestare contro le azioni di Netanyahu e per chiedere la fine degli attacchi a Gaza, insieme a molte comunità ebraiche nel mondo. La logica di guerra cerca di cancellare le manifestazioni, gli scioperi e le lotte interne che si davano tanto in Israele quanto a Gaza, contro la riforma giudiziaria di Netanyahu e contro Hamas, e anche contro qualsiasi progetto di radicalismo religioso.

Rifiutare i fronti esistenti non significa rifiutare di schierarsi, ma rifiutare di farlo secondo le divisioni che ci vengono imposte. Non possiamo essere preda di facili divisioni che ci spingono a schierarci con Israele o con Hamas, con Zelensky o con Putin, con l’Occidente o il resto, perché queste divisioni esistono solo nella testa dei nostri governi e sono imposte da loro. Rifiutare i fronti esistenti significa cercare di aprire spazi per la nostra politica, una politica di movimenti sociali transnazionali non dirottati dall’immaginario geopolitico di Stati, nazioni, etnie o religioni. Non accettiamo che lottare contro l’ingiustizia e l’oppressione significhi accettare altre ingiustizie e oppressioni. Non c’è liberazione se la guerra, la violenza contro le donne, il razzismo e lo sfruttamento continuano.

Noi attacchiamo la guerra e perseguiamo una politica transnazionale di pace che rompa le barriere e i confini che questa guerra sta costruendo. Una politica transnazionale di pace non è né pacificazione né semplice pacifismo. Vogliamo promuovere una prospettiva che ci permetta di stabilire una comunicazione politica trasversale rispetto ai fronti, di produrre organizzazione a partire dalle lotte sociali e tra soggetti diversi per rendere l’opposizione alla guerra qualcosa di più di una mera opinione. Registriamo il rifiuto individuale e collettivo della guerra che si sta verificando. Il nostro rifiuto della logica di guerra è ciò che ci permette di capire da che parte stare. Ci schieriamo dalla parte degli oppressi, di coloro che lottano contro la morte, l’oppressione e l’impoverimento prodotto dalla guerra. Ciò che accade dal 7 ottobre ha reso più difficile continuare le nostre lotte, a Gaza, in Israele e in ogni contesto nel mondo. All’indomani dell’attacco, il massacro di massa di Israele contro Gaza, insieme alla continuazione dello sfollamento forzato dei palestinesi, ha moltiplicato la sofferenza e la rabbia. Se da un lato ciò comporta un inaccettabile sacrificio di vite umane nella regione e minaccia un’ulteriore espansione degli scontri militari, dall’altro gli effetti di questa guerra rendono invisibili e minacciano le lotte di migranti, donne, queer, lavoratrici e lavoratori che continuano a esserci nonostante la guerra.

Rifiutiamo la normalizzazione della guerra e vogliamo la fine delle uccisioni e della distruzione a Gaza, così come in Ucraina. Lottiamo per una politica transnazionale di pace contro il razzismo, la violenza e lo sfruttamento e, attaccando radicalmente la violenza patriarcale, lo sfruttamento e il razzismo, andiamo oltre ai fronti che ci vengono imposti. Come attivisti dell’Assemblea Permanente Contro la Guerra della Piattaforma Transnational Social Strike ci impegniamo a farlo collettivamente in tutte le lotte locali in cui siamo coinvolti per l’aumento dei salari, per la giustizia climatica, nelle mobilitazioni femministe e dei migranti, nelle azioni contro la militarizzazione e il regime di frontiera, e in tutte le iniziative transnazionali di cui facciamo parte, come le mobilitazioni per il 25 novembre contro la violenza patriarcale e nello sciopero femminista dell’8 marzo. Continuare a lottare, rafforzare la comunicazione politica e l’organizzazione, sono i nostri strumenti per colpire la guerra e definire il tipo di futuro che cerchiamo e come vogliamo costruirlo: questa è la nostra politica transnazionale di pace.